Go to top

Di quella volta

di Sara Adami

Spesso sognavo che la salita era troppo ripida, la macchina si ribaltava inghiottendo la nostra ennesima fuga.

Quel tragitto mi sembrava interminabile, ma solo per la sua piacevolezza. Non ero deliziata dal dove si andava, all’arrivo c’erano tanti fantasmi quanti ne avevamo alla partenza, ma i colori erano diversi, nuovi, e io avevo bisogno di farmi tingere da qualcosa di infondato ma sconosciuto. Speravo che la normalità si insinuasse tra le mie crepe, che il tempo mi concedesse l’abitudine al profumo di quel calore.

Delle due strade preferivo quella immersa nel verde e nelle curve. Respiravo la poesia di quei giochi di luce e muschio, mi separavo dalla rabbia spargendone briciole, una dietro l’altra, per saperle ritrovare al ritorno.

E poi imparavo a fischiare, tra la lingua e il palato, in silenzio. E a riflettere, nello stesso identico modo.
C’erano due o tre colonne sonore possibili, durante il tragitto. Ancora oggi sussulto, risentendole.
Lei cantava, lui rideva giocoso, e rivederli con gli occhi della memoria suggestiona la commozione.
Io li guardavo desiderando che durasse più del tempo che ci era concesso.
Io li guardavo pensando che non saremmo mai stati più felici di così.

Dopo l’incidente cambiò tutto. Ma questa è un’altra storia.

Lascia un commento 

Your email address will not be published. All fields are required.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.