L’indiano con le rose mi ha guardato passargli accanto e ha allungato un fiore, io l’ho accolto come si fa con le emozioni inaspettate e ho abbassato la guardia. Erano già due giorni che viaggiavo ad armi calate, non saprei dire cosa fosse capitato ai miei occhi ma la delizia li aveva colti come un feroce imprevisto.
Quella dello straniero doveva essere pietà: zoppicavo vistosamente nel corpo e nell’anima, piangevo parole non dette in un silenzio crudele come un profumo dimenticato sul maglione.
Nella notte ho preso una sigaretta dalle mani di uno sconosciuto e ho continuato la lentissima corsa ad ostacoli. Barriere costruite su passati dolorosi, passione e carne da macello, un’altalena di ricordi disordinati e crudeli che sapevano provocare a intermittenza schegge di follia e desiderio di normalità.
Ho ripensato a quella volta che sono tornata a casa e faceva un freddo insopportabile, quando bisognava andarsene in fretta da quella vita e poi finalmente ha piovuto. Anche stavolta avevo trattenuto le gocce e i pensieri per non dover essere trasparente, avevo raccolto le sensazioni per non doverle toccare.
Camminando mi sono girata mille volte, forse non c’eravamo più. Me ne sono andata piovendo.
di Sara Adami