di Sara Adami
Lo conoscete Evgeny Morozov? Un nome facile da dimenticare ma che vi consiglio di ricordare: è un sociologo bielorusso di 29 anni (non cercate la foto, ne dimostra venti di più) che studia gli effetti del Web e della crescita tecnologica sulla società. Non so se ha un ottimo ufficio marketing o se si muove spinto solo dalla sua coscienza, sta di fatto che Morozov adotta la politica della controtendenza e, con grande critica, punta il dito verso le linee di pensiero che vedono Internet come uno strumento democratico e positivo.
Nel suo ultimo libro, “To Save Everything, Click Here“, il sociologo si esprime a proposito dell’Internet-centrismo e del soluzionismo tecnologico: siccome la Rete domina ogni ambito della nostra vita, essa è in grado di plasmare la realtà dei fatti in base alle sue regole. Un Grande Fratello digitale. Anzi, più forte ancora. Per Morozov si parla addirittura di una specie di religione che detta tempi e modi e che ci rende schiavi di ciò che ha già deciso: Web 2.0 non vuol dire usare la Rete come crediamo vada usata, per l’accademico è assolutamente necessario allargare i confini del suo spazio e uscire dall’idealismo della Silicon Valley.
Detta più facilmente, Zuckerberg è riuscito a creare Facebook in seguito all’attento lavoro di marketing aziendale, e non grazie alle immense capacità del Web. La Rete ci fa credere di essere liberi mentre ci intrappola, ci concede di informarci ma decide quali notizie rivelarci, si propone di essere open e rivoluzionaria ma ci rende schiavi dei suoi stessi network. Uhm. Morozov stesso può essere un’operazione commerciale, questo va detto, e io per prima mi sento piuttosto distante dal suo credo.
Eppure vale la pena di accogliere questa visione complottistica e produrre una riflessione: e il supermercato? Il telegiornale? Si tratta pur sempre di strumenti che ci offrono un servizio che noi scegliamo se utilizzare, come e quanto. Sui ripiani del negozio ci sono cento pacchi di pasta di cento marche diverse, eppure io ne acquisto uno soltanto. In rete ci sono cento(mila) notizie e soluzioni su cento(mila) quesiti, eppure non li accetto come dati di fatto. Io credo che sia l’informazione a renderci liberi, la ricerca continua.
Perciò voglio sfidare Morozov e ribaltare la sua idea: crescono a dismisura i numeri che ci raccontano quanto usiamo Internet, soprattutto tra i più giovani (il 95% dei ragazzi tra i 12 e i 17 anni lo utilizza). Computer, tablet, smartphone, milioni di milioni di connessioni che confermano l’innovazione sociale di questo mezzo. E se aumenta la capacità di interazione aumenta anche la possibilità di scelta, no? Più Internet cresce, più noi impariamo a usarlo, più diventiamo emancipati rispetto al mezzo stesso.
E’ per questo motivo che accolgo con gioia la nuova scoperta dei ricercatori dell’Istituto di Tecnologie della Comunicazione, dell’Informazione e della Percezione (Tecip) del S. Anna di Pisa: si chiama Internet Superveloce ed è un esperimento con il quale il team ha raggiunto il primato mondiale. Mille chilometri percorsi da mille miliardi di bit al secondo utilizzando tecnologie speciali senza aumentare la banda, tutto nasce dalla capacità di compressione dei dati. Tra circa 4 anni questa sarà la velocità che avremo a disposizione sulle nostre fibre ottiche, a meno che i ricercatori non riescano a fare anche di meglio. Morozov, cosa dici, la forza intellettuale di Internet si adeguerà alla velocità di trasmissione dei dati? Io, per sicurezza, comincio a correre.
Source Image: UrbanPost
Articolo originale al link: Lab13