di Sara Adami
Quella volta c’erano i giradischi, che voi neanche li ricorderete, i giradischi.
Io ero solo una ragazzina, e il giradischi era suo, perciò non lo potevo mica usare. Per questo ho imparato a farlo.
In ginocchio sceglievo il disco, prendevo quasi sempre quello bianco, o quello nero, lo tiravo fuori dalla custodia con una cura da adulto, la appoggiavo sulla credenza, in punta di piedi aprivo lo sportello. Ne lucidavo la superficie con attenta consapevolezza, glielo avevo visto fare.
E poi appoggiarlo al piatto come fosse di vetro, accenderlo, lasciare che la puntina lo baciasse.
Ero una ragazzina, mettevo il disco bianco e cantavo.
Quando ce ne siamo andati da quella prigione ho avuto un solo pensiero. Non mi importava di lasciare le bambole, i vestiti, gli amici, di ricominciare con niente. I dischi.
Io pensavo ai dischi, che sarebbero rimasti lì a prendere polvere sotto il mobile nero, che nessuno li avrebbe mai più amati come avevo fatto io in quegli anni, di nascosto e con dedizione, come una giovane amante.
Che nessuno li avrebbe mai più ascoltati, ne ero certa, perchè poi non ce n’era altri simili, erano unici, c’era una copia soltanto in tutto il mondo, doveva essere così.
Quando sono cresciuta li ho comperati. In cd, perchè i giradischi neanche si trovano più, perchè i dischi sono sempre costati così tanto, come quando mamma ci portava fino a Bologna per comprare quelli dipinti sulla superficie, quelli che non si potevano nemmeno ascoltare.
Poi, un giorno di quando ero già grande, te ne sei andato. Ho preso il cd e ho messo le tue canzoni, quelle dell’album bianco.
E abbiamo cantato insieme, di nuovo e sempre.
Tandoori
unico.
ho letto millanta cose questi giorni.
milanta cose fatte di retorica e gossip di bassa lega.
devo ammettere che quando ho letto Lucio nell’aggeggio che mi segnala i post scritti da chi mi piace seguire ho preferito tralasciare…
per fortuna stamattina il mio dito ha fatto clik.
grazie.
ci voleva.
searching
e grazie davvero per averlo detto qui, e
così.