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Regola n. 3: Se credi alle bufale sei fuori.

di Sara Adami

 

Facebook è il regno delle condivisioni, delle citazioni e delle bufale: le notizie infondate e false viaggiano sulla rete veloci tanto e più di quelle reali, un po’ perchè spesso sembrano credibili, e molto perchè chi le inoltra non verifica la fonte e si limita a spammare. Dopo migliaia di raccolte fondi per i motivi più disparati, la bufala che recentemente ha spopolato su Facebook è stata quella del controllo della privacy dei profili fb da parte del Ministero dell’Interno. E’ evidente che non solo il governo ha ben altre cose a cui pensare, ma è probabile che il Ministro Anna Maria Cancellieri non sia all’altezza di entrare nel nostro profilo, controllare cosa facciamo e giudicarci di conseguenza.

Eppure questa notizia è esplosa con un tam tam mediatico fortissimo, migliaia e migliaia di status condivisi in cui si esprimeva il dissenso ad accedere al proprio profilo senza autorizzazione. Facebook in questi casi reagisce con estrema ironia, e infatti in pochi giorni sono stati creati decine di status che scimmiottavano il precedente e i creduloni che ci sono cascati (in tema natalizio segnaliamo “Il Ministero degli Interni della Lapponia ha ottenuto di poter entrare nei nostri profili Facebook per far sapere a Santa Claus se facciamo i cattivi.”).

Le bufale a cui crediamo, i like che mettiamo e i link che condividiamo servono per creare la nostra identità digitale, ossia l’insieme di dati personali della nostra vita online. Il BCG, ossia Boston Consulting Group, ha fatto uno studio specifico relativo al valore economico di questo dato che ha quantificato in 330 miliardi di euro all’anno. Perchè così tanto?

Nel web le aziende sono in grado di conoscere tutto di noi, i nostri interessi, le nostre frequentazioni, i nostri acquisti, e questo insieme di informazioni ha un valore che spesso regaliamo senza saperlo perchè le aziende possono calibrare la pubblicità e i loro prodotti in base a questi dati. La nostra personalità viene esposta ma ne riceve anche beneficio: se Google e Facebook conoscono così tanto i nostri gusti, allora verremo ricompensati grazie a servizi più rapidi e mirati. Così questa limitazione della privacy si trasforma in maggior beneficio.

La web mail ci indica gli acquisti che potremmo fare, il motore di ricerca ci segnala le news che ci sono più affini, ogni volta che cerchiamo i sintomi di una malattia forniamo informazioni delicate, a ogni download trasmettiamo dati su di noi, sensibili e soprattutto rintracciabili.

Lo studio della BCG evidenzia che preoccuparsi per la divulgazione di queste informazioni non significa quasi mai limitarne l’afflusso, ma aumentare la consapevolezza. Maggiore conoscenza delle regole rende l’utente più attento prima di divulgare i suoi contenuti.

Quindi ricordatevi: a ogni like che mettete donate una parte di voi, a ogni bufala a cui credete un angelo perde le ali.

 

Articolo originale al link: Magellano

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